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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

La ricorrenza dei morti

Il primo novembre il calendario liturgico romano celebra tutti i santi canonizzati e non, ma naturalmente “morti”. Nella storia di questa festività c’è anche il tentativo della Chiesa di coprire Samhain, l'antica festa celtica del nuovo anno legata al mondo dei morti e da cui attinge Halloween. Il parlare dei defunti ci conduce al 2 novembre, giorno dedicato alla loro commemorazione. Chissà a quanti sovviene la strofa iniziale della famosa poesia di Antonio De Curtis, in arte Totò, A’ livella:

Ogn'anno, il due novembre, c'é l'usanza

per i defunti andare al Cimitero.

Ognuno ll'adda fà chesta crianza;

ognuno adda tené chistu penziero.



Il ripetersi dell’adda (deve) mi lascia riflettere su come certe cose si fanno per dovere, perché le fanno tutti, perché il calendario e la tradizione le comanda. I morti e con essi il cimitero sono parte di ciascuno di noi, così come dell’immaginario collettivo. Intorno ad essi ruotano paure e sogni, racconti di famiglia e leggende fantasiose, speranze e disperazioni. Ecco allora che il 2 novembre e nei giorni precedenti puoi notare passando nei pressi di un cimitero un via via senza sosta. Quello che di solito è il luogo del pianto e del distacco sembra diventare per poco tempo una finestra sull’al di là. La cura dei loculi, l’abbellimento della tomba, l’accensioni di luci e lampade di varie forme e dimensioni pare essere un modo per ridare vita a chi là dentro oramai ha lasciato solo il corpo (se ancora vi è). Ma se parli con le persone c’è chi crede che questo sia un modo per dare pace alle anime che vanno in giro, acquietare l’anima del parente a cui era stato fatto uno sgarbo: retaggi di una falsa religiosità popolare.

 

Da credente e da responsabile di anime verrebbe facile e veloce dire che i defunti non possono ascoltare ciò che fanno i vivi, e praticare il culto dei morti corrisponde a peccare contro Dio, in quanto si pratica in effetti idolatria e spiritismo. Però si potrebbe obiettare che si tratta di preghiera. Dalle Scritture conosciamo che la preghiera va' indirizzata a Dio, mentre non trovano alcuni riscontro tre presunte preghiere che sfociano in tre eresie:

 

1) la preghiera per i morti che sono però in purgatorio, ossia la preghiera a Dio dei vivi affinché i morti abbiano un posto migliore rispetto a quello che si sono meritati con le opere della loro fede in vita;

2) la preghiera ai morti, come preghiera che si rivolge a coloro che, essendo morti, si crede che possano influire sulla vita dei vivi (adorazione o venerazione al posto di Dio);

3) la preghiera dei morti, come preghiera che i morti rivolgono al Signore, per qualche scopo particolare.

 

Secondo la Bibbia bisogna adorare solo Dio in spirito e verità. In tutta la Bibbia non c’è alcuno che abbia mai pregato per i morti. Tanto meno possono farlo loro per i viventi. Quando uno muore, la sua carne ritorna alla terra e il suo spirito va in Paradiso (se ha creduto in Cristo) o nell’Ades in attesa del giudizio (se ha rifiutato la grazia di Dio). Nessun defunto ha ora la facoltà di lasciare l’altro mondo e d’andare in giro per la terra. Il testo di Luca 16:19-31 relativo a un certo ricco e a Lazzaro mostra chiaramente come funziona dopo la morte. Innanzitutto, Abramo disse all’uomo nel tormento dell’Ades che non c’era alcuna possibilità di cambiare condizione. Allora il ricco empio, rendendosi conto di essere perduto per sempre, chiese ad Abramo di mandare Lazzaro ad avvisare i suoi fratelli. Abramo non contemplò la possibilità che un morto potesse tornare sulla terra per avvertire i vivi di qualcosa, rimandando questi all’ascolto di Mosè e dei profeti, riferendosi alla Parola di Dio. Fuori da questi canoni ciò che è legato al mondo dei morti o è fantasia popolare o si tratta di un’influenza demoniaca.

 

Per molti risulta difficile uscire da questo vortice di devozione popolare, fortemente italiana. L’esperienza di molti testimonia che il Signore illumina cuori e menti con il suo Spirito. Per mezzo della Parola milioni di credenti stanno lontani da tali dottrine idolatriche: «… il sangue di Cristo, che mediante lo Spirito eterno ha offerto se stesso puro d’ogni colpa a Dio, purificherà la vostra coscienza dalle opere morte per servire al Dio vivente» (Ebrei 9:14). La tradizione purtroppo trascina le persone nel fiume del “così si fa” o del “così fan tutti”. La luce dell’Evangelo, per mezzo dei credenti nati di nuovo, deve risplendere soprattutto in queste occasioni, quando pur andando al cimitero a rendere omaggio alla tomba di un proprio congiunto, non si cade nel culto dei morti. Il credente è consapevole che luci (o lumi) votive non risplenderanno nelle “tenebre”, lo sfarzo di fiori e addobbi non potrà migliorare la condizione di alcuno, e che restano bussola sull’eternità le parole di Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Giovanni 11:25).


Adoperiamoci in vita a manifestare i nostri sentimenti per i cari che nella vita Dio ha posto intorno a noi, e se proprio vogliamo offrire un fiore in ricordo dei cari defunti facciamolo nel silenzio e non per cercare l’approvazione di qualcuno.


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