"Per dimostrare che Dio non esiste basta una lacrima di un bambino innocente", si ripeteva come ritornello a metà degli anni Settanta tra i giovani universitari russi. Il dolore innocente è sempre stato per la gran parte motivo di scandalo e perdita della fede, facendo gridare a qualcuno: «Dov’era Dio ad Auschwitz?». Proprio in quel luogo infernale tanti hanno vissuto la più grande esperienza di Dio presente. Tra costoro si può annoverare senza dubbio Etty Hillesum, il cui diario non ancora conosciuto da tanti, consente di scoprire quel seme di amore e fraternità impiantato nel grembo insanguinato della storia. Avendo avuto il piacere di coglierne qualche seme, ho ritenuto trattarsi di un seme buono che può accompagnare e sostenere anche gli uomini e le donne del nostro difficile tempo, che da più parti levano la domanda: «Dov’è Dio?».
Etty nasce in Olanda da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica, religiosamente non praticante, al pari di tanti che oggi si definiscono "cristiani" ma che nella pratica lo sono molto poco. Giovane brillante, è conquistata dalla letteratura e dalla filosofia. Laureatasi in giurisprudenza, intraprende lo studio della psicologia, quando divampa la seconda guerra mondiale e la persecuzione degli ebrei. Il 9 marzo 1941, nella Amsterdam oppressa dall'occupazione nazista, a 27 anni comincia a scrivere un diario destinato a diventare uno dei più notevoli documenti emersi dall'Olocausto al fianco di Edith Stein e Anna Frank con le quali condividerà il campo di smistamento. Esther, questo il suo vero nome, lavora come dattilografa al Consiglio Ebraico e allo scoppiare della Seconda guerra mondiale e con l’inizio delle persecuzioni razziali potrebbe scappare e salvarsi, ma decide di non abbandonare la sua famiglia e il suo popolo. Mentre lo spettro della persecuzione e della guerra assume toni sempre più cupi, Etty imbocca un percorso che la porta ad assumere consapevolmente il ruolo di testimone e cronista della terribile realtà a lei contemporanea e a diventare un punto di riferimento per le persone di cui condivide le sofferenze nel campo di transito di Westerbork, dove il 7 settembre 1943 sale su un treno per Auschwitz da cui non farà più ritorno. «Apro a caso la Bibbia e trovo questo: “Il Signore è il mio alto ricetto”. La partenza è arrivata inaspettata, nonostante tutto. Abbiamo lasciato il campo cantando, papà e mamma molto forti e calmi, e così Misha. Viaggeremo per tre giorni. Arrivederci da noi quattro».
Undici quaderni e alcune lettere, raccolte soltanto nel 1981 per la prima volta, ci offrono riflessioni che travalicano ogni classificazione confessionale e offrono perle preziose per ogni essere umano alla ricerca di Dio. Inizialmente lontana da Dio, come tanti ai nostri giorni, dispersa e inquieta, Etty Lo ritrova proprio in mezzo alla grande tragedia della Shoà attraverso un percorso nello stesso tempo tormentato e dolcissimo. Trasfigurata dalla fede, si trasforma in una donna piena di amore e di pace interiore, capace di affermare: «Vivo costantemente in intimità con Dio». Grazie alla fede scoperta nell'ora del dolore riesce ad aiutare gli altri a morire con dignità, e l'incontro con Dio le dona la forza di affrontare la morte con serenità, perché come lei stessa scrive: «Senza Dio il mondo è assurdo». Nel dolore la sua fede riesce a disseppellire Dio dalla parte più intima di sé, e a ritrovarlo vivo, quale fonte stessa dell’eterno Amore. «L’unico atto degno di un uomo è inginocchiarsi davanti a Dio». Dalle pagine del suo diario si eleva il suo volgersi a Dio e la fiducia con cui si abbandona a Lui. Per dirla con le sue stesse parole, il gelsomino, simbolo della bellezza della vita, potè incredibilmente continuare a fiorire indisturbato nella sua anima, nonostante le tempeste esterne che cercavano di annegarlo nelle nere pozzanghere dell'odio e della violenza. Michael Semeraro nel suo "Ogni battito del cuore" ha utilizzato un verso di Rilke per sintetizzare la vita di Esther: "Anche se non vogliamo Dio matura". E solo un Dio vivente nella propria esistenza può condurti ad esprimere con queste parole:
«Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza.
Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita,
cercherò di accettare tutto e nel modo migliore.
Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo
purché tu mi tenga per mano andrò dappertutto allora, e cercherò di non avere paura.
E dovunque mi troverò, io cercherò di irraggiare un po’ di quell’amore,
di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro. […]
Una volta che si comincia a camminare con Dio si continua semplicemente a camminare
e la vita diventa un’unica, lunga passeggiata».
Leggere il suo diario potrà aiutarci a guardare l'odio e l'orrore, lasciando che rimangano scolpiti e non dimenticati, e nello stesso tempo potrà far brillare l'Amore in mezzo a così tanto buio. Ancora una volta siamo chiamati a scegliere la strada più lunga e difficile, ma che conduce alla vita. "Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e pochi sono quelli che la trovano" (Matteo 7:14). Abbiamo il diritto e il dovere di vivere per chi non ha potuto farlo. Abbiamo anche il diritto e il dovere di non morire nell'indifferenza che appartiene alle nostre vite e che inevitabilmente si ripercuote nel mondo che oggi costruiamo. Provare ad essere, come dice Etty, "cuori pensanti". Che insieme possiamo, inginocchiandoci davanti a Dio, levarci nonostante le tempeste esterne, pandemia inclusa, che cercano di annegarci nelle nere pozzanghere delle paure e delle incertezze non come gelsomini, ma come i gigli del campo che menzionò Gesù: "Se dunque non potete fare nemmeno ciò che è minimo, perché vi affannate per il resto? Guardate i gigli, come crescono; non faticano e non filano; eppure io vi dico che Salomone stesso, con tutta la sua gloria, non fu mai vestito come uno di loro" (Luca 12:26-27).
Il suo diario si chiude con queste parole: «Si vorrebbe esser un balsamo per molte ferite». Ed io spero che questo articolo sia qualche goccia di balsamo per molte ferite, anche se l'unico olio in grado di alleviare i nostri dolori è quello del buon samaritano.
Foto di Alex Bruda, www.freeimages.com
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