La seconda domenica di maggio vede festeggiamenti dedicati alla mamma in molte parti del mondo. Tale tradizione risale al XVII sec. in Inghilterra con il Mothering Sunday: i bambini, lontani dalle famiglie per imparare un mestiere o perché costretti a servitù, ritornavano a casa per un giorno. Nel maggio 1870, negli Stati Uniti Julia Ward Howe, promotrice dell’abolizione della schiavitù, propose l’istituzione del Mother’s Day per riflettere sull’inutilità della guerra. Anna M. Jarvis, alla morte della madre, inviò lettere a diversi membri del Congresso, affinché venisse istituita una festa per celebrare le mamme ancora in vita. Nel maggio 1908, a Grafton nel Massachusetts, venne celebrata la prima festa della mamma e nel 1914 il presidente Wilson istituì il Mother’s Day e si decise di celebrarlo la seconda domenica di maggio. Nel tempo si è diffuso quasi ovunque.
Per le donne di Israele essere madre era la massima aspirazione e la piena realizzazione. Una delle più grandi sventure che potessero capitare ad una ebrea era, infatti, l’essere sterile (Genesi 30:1), dato che Dio aveva promesso che Israele sarebbe stata numerosa, ciò motivava anche le donne. In ebraico la parola “mamma” è “em”, una parola imitativa, che richiama uno dei primi suoni emessi da un bambino. Non mi viene difficile pensare alla figura di Anna come alla mamma tipo: una moglie desiderosa di sperimentare la maternità e concedere all’amato marito il frutto del suo grembo. Con questo desiderio si recava al tempio per gridare silenziosamente all’unico che poteva esaudirla. Dinanzi all’altare pregava senza proferire parole udibili dal sacerdote Eli. Anna era una donna che sapeva quel che faceva. Aveva scelto di andare a Dio, aprirgli il cuore promettendogli di restituire quel figlio che stava chiedendo. Anna diventerà la mamma di Samuele, il bambino affidato alle cure di Eli, cresciuto all’ombra dell’Arca nel tempio e poi profeta.
Solo una donna può comprendere cosa significhi essere “mamma”, e quanto sia atroce privarsi del frutto del proprio grembo, nonostante a volte leggiamo di atti inconsulti. Sotto il governo del re Salomone, accadde un giorno che due madri si contendevano un bambino (1Re 3:25-26). Queste due donne, presentate come “prostitute”, condividevano l’alloggio ed avevano entrambe un neonato. Una notte uno dei bambini morì soffocato sotto il peso della mamma, che lo sostituì con quello della sua collega. Ne nacque una contesa tale da costringerle a rivolgersi al re, il quale ascoltata la storia propose di tagliare in due il bambino e darne una metà ciascuna. Ciò avrebbe significato la morte del piccolo. Immediatamente la mamma naturale rinunciò alla sua parte. Ebbe il coraggio di rinunciare al frutto del suo grembo per salvargli la vita. Solo l’amore di una mamma può fare ciò. L’invidia, l’egoismo e l’istinto di possesso non appartengono a una vera madre, che non pensa a sé, al proprio egoismo, all’amor proprio, ma pensa solo ed esclusivamente alla vita del proprio figlio. Nulla impedirà ad una madre di lottare per il suo figlio.
Ricordiamo la sunamita che ricevette un figlio per la preghiera di Eliseo, ma che presto lo perse per un improvviso malore. Di fronte alla morte non esitò a reclamare l’intervento divino, che le fu favorevole. Un’altra donna, a Nain, ebbe la grazia di incontrare Gesù lungo il corteo funebre del suo fanciullo: cambiò la destinazione e il pianto mutò in gioia. Pensando a queste mamme, il mio cuore si avvicina a tutti quei genitori che stanno stringendo i denti per una malattia, lottando per la sopravvivenza del proprio bambino, o che, ahimè, stanno asciugando le lacrime per averlo visto volare via. Nonostante tutto la fede ci attesta che Dio sovraintende dal concepimento alla fine. Nelle parole rivolte a Geremia (1:5) vi è una volontà divina che trascende la sessualità di un uomo e di una donna o di ogni manipolazione da laboratorio, e che la mente umana non può afferrare. Dietro la nascita va contemplata un’opera divina. Coloro scampati ad un aborto o frutto di una gravidanza complicata non avranno difficoltà a confermare che nella nascita vi è qualcosa di straordinario! Geremia percepisce che è Dio stesso ad averlo chiamato all’esistenza e che lo ha conosciuto prima della gestazione, avendo stabilito un piano per lui. Oggi risulta difficile a molti affermare che la vita è legata al volere di Dio, e che sia imprescindibile da una madre e un padre.
Guardando all’amore di una mamma la Scrittura definisce più volte l’agire divino (Isaia 49:25; 66:13; Salmi 131) e in Proverbi 31 incontriamo una serie di lodi alla madre, donna accorta: “Il cuore di suo marito confida in lei, ed egli non mancherà mai di provviste” (v. 11); “Lavora gioiosa con le proprie mani” (v. 13); “Si alza quando ancora è notte, distribuisce il cibo alla famiglia e il compito alle sue serve” (v. 15); “Posa gli occhi sopra un campo, e l’acquista” (v. 16); “Sente che il suo lavoro rende bene” (v. 18); “Non teme la neve per la sua famiglia, perché tutta la sua famiglia è vestita di lana” (v. 21); “Suo marito è rispettato alle porte della città” (v. 23); “Forza e dignità sono il suo manto, e lei non teme l’avvenire” (v. 25); “Sorveglia l’andamento della sua casa” (v. 27); “I suoi figli si alzano e la proclamano beata, e suo marito la loda” (v. 28). Ed è quello che ogni figlio e/o marito deve fare anche oggi. Un abbraccio particolare a chi una mamma non ha più e chi non ne ha mai avuta.
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