Recensione del libro di Alessandro Iovino, Il racconto di un’amicizia. Dialogo tra papa Francesco e il pastore Giovanni Traettino, Eternity, Milano 2024.
A qualche mese dall’uscita, l’ultimo lavoro di Alessandro Iovino “Il racconto di un’amicizia” continua a suscitare reazioni contrapposte. Entusiasmo e gioia da un lato. Scetticismo e diffidenza dall’altro. Tra chi esulta alla vittoria e chi invece torce il naso, chi prende tra le mani il libro cerca di carpire nelle parole dei due interlocutori coinvolti elementi di avvicinamento o allontanamento alla propria sensibilità religiosa. Dopotutto il sottotitolo è “Dialogo tra papa Francesco e il pastore Giovanni Traettino”. Al di fuori degli ambienti ecclesiali questo libro è stato accolto come un inno all’amicizia, una pozione amorosa agli odi pullulanti sulla faccia della Terra e che non conoscono fine.
Temo che parte del clamore suscitato nel mondo evangelico, piuttosto che al libro, sia legato alla prima visita dell’autore in Vaticano, sotto il tutoraggio proprio del pastore Traettino. La perplessità più grande è come sia possibile coniugare posizioni diametralmente opposte, quali quelle degli intervistati. A questa aggiungerei il dubbio sulla capacità di Iovino di riuscire ad essere ago della bilancia e non parte interessata.
Chiunque scelga comunque di immergersi nelle pagine del libro, abbia chiaro che siamo innegabilmente di fronte ad un incontro storico, quello avvenuto il 7 novembre 2023 in cui è stata realizzata l’intervista, e che all’autore debba andare il merito di essere stato non solo testimone, ma cronista partecipe oltre che architetto del tutto. Ho qualche remora nel ritenere che le due confessioni in causa abbiano avvertito l’urgenza di un dialogo nuovo e di parlarsi. Quello che sta provocando invece è riflettere sulla possibilità del confronto. Anch’io ho provato a farlo, da una prospettiva evangelica, la mia. Ho un trascorso cattolico, come la maggior parte degli evangelici italiani, e sono tra coloro che si è convertito alla fede evangelica quando l’evidenza biblica ha palesato ai miei occhi storture di pratiche secolari al limite del paganesimo.
Con Iovino mi lega una fraterna amicizia risalente ad una ventina di anni fa e frutto del ministero di mio suocero, il pastore Remo Cristallo, il quale affidò ad Alessandro, storico in erba del movimento pentecostale e promettente giornalista, una rubrica sull’emittente televisiva TeleOtre. Nato e cresciuto nel seno di una delle famiglie ecclesiali pentecostali italiane più ritrose ad ogni forma di dialogo e diffidente verso tutto ciò che proviene dall’esterno, in questi anni Iovino più volte è parso un “vino nuovo” capace di mettere in crisi “otri vecchi” di una parte del mondo pentecostale italiano. E come lui stesso dichiara “non è semplice trovare buoni motivi per sostenere le proprie aperture, non è semplice trovare parole per spiegare il bisogno di smuovere stati di immobilità durati decenni” (p. 64). Sono stato testimone diretto, e diverse volte ho avuto l’onere di condividere lo stesso palco per “smuovere” degli avvicinamenti interni. E quando è parso che il miracolo si stesse materializzando, le parti in causa si sono nuovamente allontanate. Figuriamoci avvicinare due mondi opposti, quali il pentecostalesimo italiano e il cattolicesimo romano.
Anche se il titolo rimanda al dialogo tra due amici, il libro ha delle sponde ben definite dietro la relazione tra il papa cattolico e un pastore evangelico pentecostale, a partire dai versi biblici posti in apertura e per giunta nella versione della CEI. La copertina stessa suscita esplicative distonie e si presta a strumentali allusioni, con l’autore sfocato di spalle, il papa tendenzialmente centrale e il pastore defilato e sorridente.
Il corpus si apre con la trascrizione dell’intervista storica, segue quello che ritengo essere l’anima del libro, la seconda parte “Ascoltiamoci”. Nella terza parte si fa un salto alla genesi con la trascrizione integrale dei discorsi del papa e del pastore in occasione della visita di Francesco del 28 luglio 2014 nella chiesa della Riconciliazione di Caserta, seguiti dalle interviste giornalistiche a Traettino. A seguire le testimonianze di alcuni esponenti che hanno partecipato alle visite intercorse negli anni e preambolo dell’intervista. Tutti celebrano con incanto la ricchezza di un incontro con Francesco, più pastore che papa. Il tutto è stato arricchito da un collage di foto che amplificano il messaggio di amicizia e dialogo. Quando Lutero venne a Roma la storia cambiò per sempre. Non penso che alcuni dei figli di quella storia siano andati a Roma per sortire conseguenze simili, anzi sembra si siano ricreduti positivamente senza inacerbirsi come Paolo ad Atene.
Nel periodo successivo la dipartita del pastore Remo Cristallo (gennaio 2017), è nata un’amicizia con il pastore Traettino attraverso la collaborazione delle rispettive comunità di appartenenza sul territorio di Casal di Principe, a cui sono succedute piacevoli occasioni private nelle quali abbiamo avuto modo di conoscerci meglio. Quando il 28 luglio del 2014 papa Bergoglio gli fece visita prima a casa e poi in chiesa, in qualità di direttore della rivista di informazione cristiana Oltre, mi interrogai sul significato di quel gesto, che è fondante nella proposta di Iovino. Tra i due, c’era un’amicizia pregressa, nata e consolidatasi in Argentina, quando Traettino era già inserito in un cammino ecumenico con il mondo cattolico. Quel gesto aveva il sapore di coinvolgimento, di affratellamento, quasi come il ricongiungimento di due mondi. Solo un papa dall’alto carisma di Francesco poteva arrivare a tal punto, pensarono in molti.
Lo stesso papa, appena salito al soglio pontificio, aveva però dichiarato battaglia alle “sette” evangeliche che avevano conquistato interi paesi del Sud America. Il gesuita Bergoglio era stato chiamato a “rinnovare” il trono pietrino e a fare i conti con una crisi mondiale di numero di fedeli e vocazioni, e quindi di influenza: un’Europa secolarizzata, dove la fede è vissuta in misura molto privata; l’Africa divisa tra l’Islam e un Cristianesimo, per la maggior parte pentecostale, l’unico conosciuto e sperimentato; il fronte orientale di dominio islamico e l’Asia tutta ancora da conquistare. Già con le visite alle chiese evangeliche storiche di Ratzinger, si stava lavorando a possibili alleanze “cristiane”, del tipo “rispettiamoci a vicenda”, oppure “non facciamo la guerra”, che altro non volevano dire: “Non evangelizzate i cattolici”. Come negare che i primi destinatari di ogni azione evangelistica siano proprio i cattolici, quelli che nel nostro Paese sono in qualche modo legati alla chiesa di Roma, almeno con il pedobattesimo e il funerale?
Anche sul fronte pentecostale, il parlare molto “evangelico” di Bergoglio aveva suscitato le simpatie di molti: il non condannare nessuno e abbracciare tutti, offrendo l’illusione di un cambiamento di stile, ma non di contenuti. La posizione della quasi totalità degli evangelici in Italia in generale restò di distanza dal cattolicesimo romano, seppur senza avversione. Per molti altri, il papa (chiunque sia e qualunque cosa faccia) restava a prescindere sinonimo e/o incarnazione dell’anticristo. E la scelta di andare a chiedere scusa per le barbarie praticate ai danni dei pentecostali dalla Chiesa Cattolica in una comunità non pienamente rappresentativa dell'intero mondo pentecostale non piacque. Il disappunto era legato oltre che alla scelta della comunità, al modo, temendo che dietro la visita e le scuse vi fosse l’intento celato di porre un suggello di appartenenza, attraverso il riconoscimento della sua persona e del suo ruolo di “pontefice”.
Il libro di Iovino aiuta ad entrare nelle pieghe di questa storia, anche attraverso l'integrazione di una sua intervista al pastore (realizzata il 20 dicembre 2014) e che fornisce altra prospettiva, sollecitando il lettore ad andare oltre quelle posizioni identitarie, erette negli anni come muri insormontabili dinanzi all’influenza e al dominio cattolico.
Veniamo ad alcuni dei contenuti di questa storica intervista doppia, che impegna trentadue delle oltre centonovanta pagine. Si tratta di una chiacchierata amplificata. Le domande dell’intervista non seguono un nesso preordinato, almeno questa è la mia impressione. In alcuni passaggi si percepiscono dei tagli apportati prima del “visto, si stampi”, come segnalato nella nota d'apertura dell'autore e motivata "per ragioni di lunghezza e chiarezza". Viene così a mancare il botta e risposta che il lettore pregusta. Allo stesso modo il duetto non sempre alternato priva di sussulto chi legge, dato che non diventa mai uno scontro con attacco e difesa. Dopotutto l’obiettivo era chiaro nel titolo “Il racconto di un’amicizia”. E un'amicizia non può assumere i toni di una disputa, anche se è quello che anela più di qualche lettore nel prendere il libro tra le mani, perché anche gli amici se le dicono di "santa" ragione, qualche volta.
Se qualcuno si aspetta una disputa teologica sulla scia di Lutero ad Heidelberg o a Lipsia resterà deluso. Dopotutto l’incontro si è tenuto nelle stanze di Casa Santa Marta, ossia nella dimora papale, e non in un territorio neutro. I due si conoscono da decenni, dialogano e si confrontano nel pieno rispetto altrui, come tanti pastori evangelici fanno sul loro territorio con il prete del quartiere o con il sacerdote del banco alimentare. E questo ritengo non debba scandalizzare nessuno. Si tratta di relazioni personali, e ci sono fronti su cui si può essere uniti e serenamente in accordo.
Ecco subito Bergoglio dichiarare che “un amico è felice di veder crescere l’altro, e per questo tante volte gli offre la precedenza”, e poi che “dove c’è guerra, c’è inimicizia”. Traettino invece pone a priori il superamento del "paradigma anticattolico", pur ammettendo una serie di questioni "necessarie e importanti", ma che possono diventare un ostacolo all'essenziale. Seppur il libro racconta un evento circoscritto, può essere frainteso, nel senso che può dare adito ad una facile conclusione: se il papa e un pastore sono amici e in dialogo, lo stesso possono fare i credenti cattolici e quelli evangelici tutti. E chi legge, se evangelico, si domanda, se in nome della stima e del rispetto, bisogna smettere di "evangelizzare" i cattolici, proprio come si ipotizzava nella visita casertana.
In merito al ruolo di vicario di Cristo, Bergoglio dichiara che “Cristo è il Signore, e il Signore non si sostituisce, nessuno può farlo” (p. 43), ma poi aggiunge che il ruolo di vicario deve “rappresentare un segnale di unità” (anche per gli evangelici?) per poi passare a dichiarare l’infallibilità dogmatica del concilio di Efeso nel 431 in merito a Maria madre di Dio (!?), trasferendola al popolo che aveva reclamato tale dichiarazione. Infatti, resta poi molto evasivo quando si cerca di affrontare in punta di piedi la mariolatria.
Nel parlare della Bibbia, il pastore Giovanni la pone a fondamento unico, "la sola Parola di Dio" e segnala a riguardo "la nostra diversità maggiore", facendo rimbalzare quanto sancito dal Concilio Vaticano II, che le ha posto invece accanto “la fonte” della tradizione. Finalmente una scoccata (p. 45). Quando poi il discorso iniziava a solleticare e a farsi interessante, l’intervista giunge a termine senza fiato, senza lo strappo finale. Eppure non c’era stato veto alle domande, come dichiara Iovino (p. 47). La preghiera finale, ben documentata fotograficamente, appare come la sottoscrizione di un patto di non belligeranza.
Nella seconda parte Iovino ripercorre l’intervista, conducendo la riflessione come chi cuce una toppa su un vestito strappato, attraverso “il dovere della memoria e anche il dovere dell’oblio”, cui segue la citazione di Pico Iyer “la memoria è la fedeltà che un cuore può dare ai suoi ricordi” (p. 60). Non passa molto per rivolgere un appello a vedere gli altri attraverso la teologia del poliedro suggerita da papa Francesco e che lo ha colpito particolarmente nonostante lui sia poco avvezzo alla geometria e alla matematica: “chi si ritiene perfetto nella Chiesa non vede gli altri. E ciascun senso di perfezione è in fondo un pericolo, poiché vicino alla superbia” (p. 63).
Qualche pagina prima, parla della più grande sfida odierna, ossia “raggiungere una maggiore unità nella diversità per fronteggiare la secolarizzazione e la sempre più crescente scristianizzazione dell’Europa”. Siamo ancora nell’ambito del rispetto reciproco, o invece papa Francesco (che resta l’apice di un’enorme piramide) sta mirando all'obiettivo di stoppare l’azione di evangelizzazione tra i cattolici? O si tratta soltanto di una proposta alla realizzazione di un fronte unico contro temi più urgenti? A questo tavolo le carte sono perennemente nelle mani di chi risiede a Roma, non perché è caput mundi evidentemente.
Sulle tracce di Lutero, si legge più avanti che “tendersi la mano, ascoltandosi e parlandosi, vuol dire semplicemente praticare la pace, quella stessa pace di cui ognuno di noi annuncia di volere il compimento”. Se dovessi scegliere un periodo a sintesi del libro, potrebbe essere proprio questo. In giorni terribilmente drammatici a causa delle guerre in corso e dei rumori di guerra che ogni giorno si sollevano, questo parlare è miele. Tutti desideriamo la pace, e il vangelo stesso nelle beatitudini riserva l’appellativo di “figli di Dio” a coloro che si adoperano per la pace. Se ripetutamente si legge di un papa che esorta ad abbandonare gli antichi pregiudizi contro Lutero e gli evangelici, perché gli evangelici non dovrebbero fare altrettanto?
Il lavoro giornalistico, attraverso il racconto di questa amicizia, tende a mettere in dialogo due realtà che pur essendo parte della stessa famiglia cristiana restano opposte e di spalla come le facce di una moneta, e di conseguenza in perenne contraddizione. Ho avuto l’impressione che queste due facce, pur unite e portando lo stesso valore impresso, sul mercato abbiano diverso riscontro: quella cattolica risulta più spendibile ed ha un cambio favorevole rispetto a quella evangelica che trova sbocco a fatica.
Credo che Iovino voglia tra l’altro provare a scardinare quegli “stati di immobilità durati decenni” e già menzionati. Sono certo che queste affermazioni, nel suo ambito di appartenenza confessionale, avranno fatto stropicciare molti occhi e provocato paralisi facciali ad altri. Tanto più perché a queste parole sembra seguire un encomio al pontificato di Francesco posto da subito nella scia del povero e del bisognoso. Anche la citazione del Salmo 72 si presta ad una lettura ambigua se applicata al papa (p. 70). Chiedo venia se ho perso l’obiettivo del paragrafo “la forza del battesimo” (pp. 68-69), dove lo Spirito Santo è soltanto menzionato, pur restando l’unico vicario di Cristo.
Forse il libro paga dazio al rischio preannunciato dall’autore (p. 51) di essere provato a contenere la misura e l’umiltà per non sconfinare oltre l’intervista, di per sé già un evento ragguardevole, essendo la prima del genere e per lo più concessa ad un giornalista di dichiarata fede evangelica. La pregressa e storicamente documentata avversione evangelica al papato e alle cose vaticane, per ovvie e comprensibili ragioni che lo storico Iovino ben conosce, temo abbia fin qui limitato la diffusione dell’opera negli ambiti di appartenenza. Il riferimento alla circolare Buffarini Guidi e la testimonianza di Bergoglio in quei di Caserta, non possono essere sufficienti a spazzare ombre e macchie del passato in un voltar di pagine. Ritengo perciò che piacerà maggiormente ai cattolici, amici e nemici che siano o si vogliano reputare.
Al di là degli onorabili contributi in apertura, secondo me, al libro manca l’introduzione dell’autore, propedeutica alla lettura e utile al lettore affinché non si muova con pregiudizi e finisca disorientato. Infatti, è immediatamente catapultato nell’amicizia, presentata come “l’energia” che ha reso possibile il momento documentato. Gli amici stanno assieme. Una più chiara descrizione dell’intento poteva fornirla l’Editore, limitatosi nella nota iniziale a parlare di “punto di svolta”, “una crepa nel muro di divisione tra cattolici ed evangelici”, auspicando un superamento delle barriere. Quali?
Non mi ha pienamente convinto la scelta di dedicare gran parte dello scritto ai discorsi della visita del papa a Caserta nel 2014, che divengono elemento di lettura obbligatorio e appaiono un tentativo di rilettura del passato recente. La stessa intervista principale è strutturata sugli stessi temi, e risulta mancante di quelle stoccate che lo Iovino, che io conosco, ha nel suo repertorio. Mi rendo conto della statura dell’interlocutore principale, non solo religiosa. Umilmente lui stesso ha riconosciuto al papa di non essere un teologo (p. 42). Non so se per scelta o altro, forse la consapevolezza che si stava materializzando qualcosa di veramente storico, da qualunque lato si voglia leggere l’evento, Alessandro mi è parso abbottonato a vestire i panni di mediatore, fin troppo spuntato nel rimbalzare la parola, al punto che certi discorsi restano sospesi a mezz’aria. Comunque plaudo al fatto che ci sia riuscito.
A conclusione, riprendo il detto socratico «so di non sapere» quale presupposto di ogni confronto. Socrate era interessato alla ricerca di una verità a cui il suo interlocutore doveva giungere da solo, tramite il dialogo appunto. Io credo nel dialogo. Il termine viene da dia che significa “in mezzo a” e logos che significa “pensiero/ragione”. Quindi dove c’è dialogo la ragione non è monopolio di alcuna fazione. Se qualcuno è convinto a priori di essere in possesso di una qualche verità assoluta non sarà in condizione di dialogare. Come Socrate voleva far pensare la gente, così questo libro stimola il lettore a porsi delle domande, come accaduto a me. Tutto qui, perciò non piace a molti. Il senso critico e il mettersi in discussione restano gemme per pochi. Provare per credere, anzi leggere.
Alessandro Iovino, Il racconto di un’amicizia. Dialogo tra papa Francesco e il pastore Giovanni Traettino, Eternity, Milano 2024, pp. 182.
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Intervista di Iovino al pastore Traettino, realizzata il 20 dicembre 2014 al link https://youtu.be/HXvWQrDlD3M?si=1tmPeoBxWFXxhxbf
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