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  • Writer's pictureElpidio Pezzella

Agnelli in mezzo ai lupi

Andate; ecco, io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi.

Luca 10:3

In quella che è nota come la missione dei settanta, Gesù fornisce delle indicazioni al primo gruppo di discepoli, inviati a precederlo nei luoghi ove intende recarsi. Prima però offre loro una delle immagini più nitide di quella che sarebbe stata la loro esperienza: “come agnelli in mezzo ai lupi”. Mi rendo conto di come però si possa essere stupiti o si possa rimanere perplessi all’ascolto di queste parole. Una follia che un pastore mandi le sue pecore in mezzo a un branco di lupi, ma il Maestro usa un linguaggio forte e riesce ad essere sempre e comunque straordinario, nel senso di fuori dell’ordinario. Di certo non li sta mandando allo sbaraglio, né è sua intenzione metterli in pericolo. La scena di pecore in mezzo ai lupi offre anche un senso numerico, dove la maggior parte è rappresentata evidentemente dai lupi. Abbiamo dinanzi una situazione paradossale: la pecora è invitata ad andare in mezzo ai lupi per amarli, guidarli nella verità a rischio della propria incolumità. Infatti, uscendo dalla metafora, Gesù ricorda ai discepoli di parlare della fede senza timore, con il coraggio e la franchezza che la pecora non possiede ma che lo Spirito avrebbe provveduto.


Il brano potrebbe rappresentare la sintesi dell’epocale sfida tra l’utopia evangelica e il realismo mondano. La prima crede nella possibilità che gli agnelli vadano in mezzo ai lupi e riescano non solo a sopravvivere, ma a cambiare l’indole e i modi dei potenziali nemici. La seconda sorride e sogghigna davanti a questo tentativo, perché il lupo ha sempre mangiato la pecora e le cose andranno sempre così, al massimo peggio, quindi gli agnelli saranno carne da macello. Invece no! Nessuno può impedirmi di continuare a credere che il cristianesimo, nonostante quanto stiamo osservando ai nostri giorni, conserva la forza di inquietare le coscienze, di tormentare amorevolmente gli uomini, costringendoli a Dio. Nel vuoto cianciare di tanti, si ode ancora qualche voce profetica in grado di metterli di fronte alle sfide della pace, della guarigione e dell’accoglienza, sempre più bistrattate in un mondo dove punti di riferimento chiari e certi tardano a levarsi, ma che erano salienti nella missione in questione. L’indicazione del Maestro è una scossa per chiunque vuole passare all’azione, un grido di battaglia che dovrebbe scuoterci ad abbandonare un cristianesimo sempre più da salotto, “poltrona e pantofole”, riservato e privato. Lo Sforzatore è all’opera per indurci a scendere in campo senza alcun timore. Anche il più piccolo degli agnelli può farlo, perché ha alle spalle il pastore più forte di ogni lupo che potrà incontrare lungo la strada: “chi ascolta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprezza me; e chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato” (v. 16).


Preoccupa però il cambio di atteggiamento di alcuni, che una volta trovato il coraggio di uscire dall’ovile, smettono di essere pecore e si vestono da lupi. Gli eccessi sono sempre un difetto. Un antico detto latino recitava: “Homo homini lupus”, ossia l’uomo è lupo per gli uomini. Ecco allora farsi strada l’idea che per poter vivere in mezzo ai lupi dobbiamo diventare anche noi un po’ lupi. Sembra di assistere al ricostituirsi di un movimento di zeloti, come quelli che ai tempi di Gesù volevano forzare l’avvento del regno di Dio mediante interventi di rappresaglia partigiana contro i Romani. Sostenevano che, se il popolo si sarebbe sollevato contro le forze occupanti, Dio sarebbe certamente intervenuto a loro favore e avrebbe restaurato il regno di Davide. Frainteso largamente la predicazione messianica. Vedo qui nascosta una pericolosa trappola. Il cristiano vince il male con il bene, non ha bisogno delle maniere forti e violente, di comportarsi come il male per nascondere le sue reali debolezze. È, invece, nella consapevolezza della propria fragilità e debolezza che il cristiano trova la sua forza. Potrà apparire alquanto strano, ma è ciò che l’apostolo Paolo dichiara: “Perciò io mi diletto nelle debolezze, nelle ingiurie, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle avversità per amore di Cristo, perché quando io sono debole, allora sono forte” (2Corinzi 12:10).


Se c’è una qualche verità che dobbiamo tener sempre a mente è proprio questa: dal punto di vista spirituale, siamo assolutamente deboli e nulla possiamo da soli. Quella immediatamente successiva è che Dio porta a compimento la Sua potenza nella nostra debolezza, senza lasciarci o abbandonarci mai. Credo sia tempo di svestirci dell’arroganza, della presunzione, del voler a tutti i costi imporre le proprie idee. Se siamo “pecore” non avremo alcun istinto violento o aggressivo, ma ci lasceremo condurre dal buon Pastore.


 

Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 06

31 gennaio Esodo 25-26; Matteo 20:17-34

01 febbraio Esodo 27-28; Matteo 21:1-22

02 febbraio Esodo 29-30; Matteo 21:23-46

03 febbraio Esodo 31-33; Matteo 22:1-22

04 febbraio Esodo 34-35; Matteo 22:23-46

05 febbraio Esodo 36-38; Matteo 23:1-22

06 febbraio Esodo 39-40; Matteo 23:23-39



foto di AinaM, www.freeimages.com


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