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  • Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Business per la gloria di Dio

Ci sono temi che fanno rizzare le orecchie o elettrizzare i capelli (a chi li ha) quando condivisi da un pulpito o in ambito ecclesiale, nonostante facciano parte della nostra quotidianità e siano parte fondamentale del nostro vivere. Glorificare Dio è attitudine di ogni credente, ma su quali siano i modi e gli strumenti per farlo abbiamo da ampliare i nostri orizzonti. Reputiamo normale e necessario glorificare Dio mediante l’adorazione (attività liturgiche), la fede (ciò che crediamo), l’evangelizzazione (mandato principale della chiesa) e tutte le attività spirituali che incontrano il bisogno del nostro prossimo. Ma cosa pensiamo se ipotizziamo che sia possibile glorificare Dio con il lavoro?

Il business e il mondo degli “affari” risentono nel nostro Paese di un retaggio culturale che percepisce il lavoro quasi come una maledizione. Chi però lo intende così è perché non ha compreso la prospettiva di Dio a suo riguardo. Nel libro del Genesi, Egli è Colui che lavorò sei giorni per portare ad esistenza la creazione, che considerò buona. Anche a noi, che siam fatti a Sua immagine e somiglianza, dovrebbe piacer fare ciò che a Lui piace. Alla creazione l’uomo aveva tutto a disposizione e il creato stesso gli forniva il cibo con cui sfamarsi; egli doveva esclusivamente curarlo e ciò non gli risultava come un peso. Dopo il peccato quello che mutò, infatti, non fu il lavoro, bensì il doverlo compiere con fatica e sudore a conseguenza del castigo. Con questa premessa, argomentare sulla spiritualità e su come vivere la fede difficilmente prenderà in considerazione l’attività lavorativa. Siamo esortati a lodare il Signore, a predicare il vangelo e testimoniare a ogni creatura, siamo esortati a donare per sostenere i bisognosi e le opere. In tutte queste cose sappiamo che Lo benediciamo, ma non possiamo non chiederci se anche l’attività lavorativa sia uno strumento che glorifica Dio, che benedice la nostra vita e quella degli altri. Nella nostra tradizione di pensiero il termine affari ha un’accezione ingiustamente negativa, per questo sarebbe necessaria una rivisitazione che partisse da un presupposto diverso: ogni nostra azione può essere buona o nociva, diventa dannosa se arreca del male al prossimo. Ed è nella prospettiva di riconsiderare il lavoro come un modo, finora trascurato, di glorificare Dio che si inserisce “Business per la gloria di Dio” di Wayne Grudem (BE edizioni), e la cui lettura è fonte di queste riflessioni.


Inquadrato nella giusta etica il lavoro permette di trarre un profitto per un proprio sostentamento. Colui che lavora è giusto che ne tragga un profitto per potersi sostenere e non essere di peso a nessuno. C’è da aggiungere che va ad inquadrarsi anche in un’ottica di sana spiritualità, perché consente di manifestare la nostra somiglianza con Dio. Egli ci ha creati con un ingegno ed un talento che ha permesso l’invenzione della maggior parte delle cose che ci circondano ed usiamo. La nostra attività lavorativa non è da meno, non è solo una passione o un bisogno, bensì un servizio che svolgiamo verso terzi come dipendenti o come imprenditori. Guadagno e profitto sono termini che impattano ancora negativamente sul modus pensandi di molti. Nella Scrittura, però, lo stesso apostolo Paolo ci ricorda che non è il denaro, bensì l’avidità di guadagno ad essere radice di ogni male (1Timoteo 6:10). Il Vangelo è chiaro nel dichiarare che l’operaio è degno del suo salario (Luca 10:7). Senza essere avidi, perché ricerchiamo un guadagno? Perché attraverso esso, oltre al sostentamento personale, Grudem ci ricorda che è possibile far del bene al prossimo donando ad altri attraverso il sostentamento della chiesa, dei bisognosi o delle missioni (cfr. 2Corinzi 8:14; Ebrei 13:16; Proverbi 3:9; Atti 20:35).


Provando ad allargare gli orizzonti, come ignorare che dietro ogni attività lavorativa, sia essa dipendente o autonoma, si intessono una serie di rapporti di lavoro. Come cristiani, se dipendenti e sottoposti a qualcuno, siamo chiamati a pregare per chi ci dirige, così come facciamo per tutte le autorità, affinché il messaggio del Vangelo tocchi i loro cuori per mezzo nostro, finanche quando dovessimo subire ingiustizie da loro. Si innalzi sempre una preghiera per far sì che nasca in loro il timore di Dio e, con esso, la sensibilità verso i bisognosi e le opere missionarie. Lo stesso vale se siamo noi a ricoprire ruoli di dirigenza: che possa essere fatto con amore, onestà e altruismo. Nello stesso tempo, siamo consapevoli di vivere in un territorio ove la carenza di lavoro fa dilagare il “malaffare”, ovvero il guadagnare tanto lavorando poco. Dove questo avviene, senza dubbio, vi è assenza di Dio, poiché Egli stesso disse ad Adamo che avrebbe dovuto lavorare con sudore (Genesi 3:17). Senza fatica non si comprende il valore del lavoro. Non c’è dignità senza sforzo: i soldi facili non sono da parte del Signore, Lui ci aiuta a prosperare se viviamo nel Suo timore. Il testo biblico è ricco di esempi di persone che lavorando con il timore di Dio hanno prosperato, si pensi su tutti a Giuseppe e a Mardocheo, per non citare i tanti cui non è mancato il sostentamento. È inevitabile che ci siano relazioni lavorative tra credenti, come lavoratori e datori, fruitori e datori di servizi. Purtroppo non poche volte può succedere che insorgano problematiche legate a tale rapporto, che possono poi innescare un fuoco “estraneo”, ovvero inimicizie, discordie e contese. Triste è vedere il riverberarsi di disagi fluenti in questi rapporti in quello che è la casa del Signore, la chiesa dove dovrebbe regnare tutt’altro sentimento.


Se lavoriamo con timore il beneficio sarà non solo nostro ma anche dell’azienda, ditta o impresa ove siamo occupati oppure titolari. Elemento indispensabile è l’onestà: da dipendenti essa è richiesta nel servizio reso, nella correttezza sul posto di lavoro. Da datore di lavoro è richiesta correttezza ed onestà verso coloro che sono sottoposti. L’opera che compiamo per altri deve essere posta in essere in modo tale che ce ne dobbiamo compiacere, alla stessa maniera in cui il Signore si compiacque per la creazione che fu opera delle Sue mani. Il motivo è perché noi siamo fatti a Sua immagine e quando creò l’uomo Egli vide che era “molto buono”. Pertanto se abbiamo un impegno lavorativo con delle scadenze dobbiamo essere all’altezza delle aspettative e onorare gli accordi. Ci viene altresì richiesto di essere saggi, perché il Signore stesso ci ha comandato di essere “sale della terra”; non solo ma anche abili nelle nostre attività. Tale abilità, a volte, è accresciuta dalla presenza dello Spirito in noi. Ci sarà una palese differenza, in termini positivi, sul posto di lavoro, e il primo segnale sarà che gli altri desiderano relazionarsi esclusivamente con noi. Ulteriore beneficio, che si riverserà sul datore, sarà una maggior produttività. Deve cambiare l’approccio generale al lavoro, cominciare a considerarlo come una missione, piuttosto che un peso. Se lo vivessimo come un servizio a Dio cambierebbe molto, lo vedremmo come un bene da fare alla società e ai cittadini. Ben sappiamo che il Vangelo ci raccomanda di fare agli altri ciò che vogliamo venga fatto a noi ed è proprio sul posto di lavoro che, in tal senso, dobbiamo (e possiamo) fare la differenza. Non farlo ci priva di una benedizione per la nostra vita.


Non sempre, nel cercare un impiego, riusciamo a trovare ciò che desideriamo, ma questo non ci esime dal fatto che siamo chiamati innanzitutto a dare esempio di impegno e serietà, al di là della paga che ne riceviamo. Questo onorerà la nostra buona testimonianza di credenti. Il periodo di prova, a cui possiamo essere sottoposti, quando si viene assunti, non è un qualcosa di astruso. L’apostolo Paolo ne parla sostenendo che i diaconi devono essere messi alla prova (1Timoteo 3:10). Il libro degli Atti ci ricorda che coloro chiamati a servire alla mensa dovevano essere uomini ripieni di Spirito, e quindi più che provati. Se spiritualmente vige “la prova”, lo stesso succede nel lavoro secolare nel quale dobbiamo mostrare limpidezza e chiarezza sin da subito. Un chiaro e semplice paragone può rendere l’idea di ciò che è per il regno di Dio la produttività: nella parabola delle mine chi ne ha di più viene maggiormente ricompensato, questo a dimostrazione del fatto che chi più produce più riceve per se e può maggiormente benedire gli altri. Non dobbiamo farci assalire dalla paura del lavoro o da quella di investire per darne al prossimo! Dio possa, invece, benedire gli imprenditori, li possa preservare economicamente affinché il loro capitale dia lavoro ad altri; coloro che posseggono ricchezze possano muovere la loro mano in aiuto di chi non ne ha, offrendo loro lavoro. La mia preghiera è anche rivolta a Dio per chi è alle dipendenze affinché Egli dia loro sapienza per far prosperare il lavoro e benedire i loro datori. Infine che ci sia onestà soprattutto tra credenti, così da evitare ogni atteggiamento sfiducia e di desistenza che va a penalizzare la crescita dell’impiego. Solo se vivremo un cristianesimo pieno, a trecentosessanta gradi potremmo vedere quanto considerato anche realizzato.


 

Per approfondire: “Business per la gloria di Dio” di Wayne Grudem (BE edizioni)


Una meditazione sul tema


Foto di Pierre Amerlynck, www.freeimages.com

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