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  • Writer's pictureElpidio Pezzella

Non essere un buono a nulla

A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno; a ciascuno secondo la sua capacità; e subito partì.

Matteo 25:15



La parabola dei talenti è introdotta da un uomo, ricco possidente, che alla vigilia di un viaggio chiama i suoi servitori e affida loro una ricchezza, proporzionata alla capacità di ciascuno. Anche se ci sono in ballo grosse somme, il messaggio però non è economico; infatti, ci rimanda all’attesa intercorrente tra la partenza e il ritorno del padrone, durante cui ognuno  è chiamato a trafficare i doni ricevuti. Essa insegna che il talento è sì ricchezza e al contempo capacità di generare ricchezza, soltanto se siamo in grado di prendercene cura. Ai servi è richiesto di non tradire la fiducia del loro padrone e di operare una sapiente gestione dei beni, che non sono di loro proprietà, nella prospettiva di una ricompensa al suo ritorno, che si protrarrà per “molto tempo”, allusione della venuta gloriosa del Signore. Nella lingua greca il talento è la misura più grande: 1 talento corrispondeva a circa 36 kg di metallo prezioso (argento), che equivalgono a 6.000 giornate lavorative, la retribuzione di 20 anni di lavoro. Ciò ci aiuta a comprendere il gesto del terzo e la paura che lo condiziona.


Cosa si cela dietro i talenti? Da moneta preziosa nel tempo è passato a indicare in senso figurato una predisposizione naturale. Nella parabola però è chiaro che i talenti appartengono al padrone, che li affida ai servi. Non si tratta quindi delle doti personali o delle capacità che ciascuno può sviluppare nel tempo. Sono doni del Creatore, a partire dalla vita, che è un dono da non sprecare, ignorare o dissipare. Purtroppo ogni giorno assistiamo o apprendiamo di azioni che testimoniano come per alcuni la vita non ha alcun valore, al punto di rinunciare ad essa o di sprecarla con una condotta dissoluta. Il regalo per antonomasia, completamente gratuito, è il Vangelo, la “buona notizia” di Gesù ed Egli stesso (Giovanni 3:16), donato dal Padre (padrone) per l’umanità tutta. Secondo alcuni, i talenti sono le parole che il Signore ha affidato ai discepoli perché le custodiscano e le rendano fruttuose nella loro vita, mettendole in pratica fino a seminarle copiosamente intorno a loro. Il padrone conosce le capacità dei suoi servi e ha almeno un “dono” per tutti. Pertanto la distribuzione non è casuale, ma ben ponderata, anche nei confronti di colui che nasconderà il talento.


Al ritorno dal viaggio, i tre servi compaiono al cospetto del padrone, che loda i primi due per aver ottenuto il raddoppiamento di quanto affidato: “buono e fedele”, dirà loro. “Buono” indica l’avere le caratteristiche appropriate per eseguire in modo soddisfacente un incarico, quindi essere efficiente. “Fedele” indica che ha dato prova di meritare fiducia, quindi una persona di cui ci si può fidare, perché fa gli interessi del padrone, differentemente dal terzo. Costui ha un’immagine distorta del Signore, plasmata dalla paura e condizionata dall’incapacità di avere fiducia nell’altro, e per questo sceglie di non correre rischi, pensando di preservare quanto ricevuto. Il suo atteggiamento però incontra la reazione del padrone, che lo definisce “malvagio e pigro”. Malvagio perché si è fatto un’immagine perversa del Signore, e per questo ha vissuto un rapporto di amore servile che lo ha reso pigro, inaffidabile, nonostante la fiducia accordatagli. Non ha avuto la minima cura per il bene ricevuto, dato che non ha fatto neanche lo sforzo minimo di metterlo in banca, dove avrebbe fruttato.


Purtroppo è più facile seppellire i doni che Dio ci ha dato anziché condividerli; è più facile conservare le posizioni assunte nel tempo che scoprirne di nuove; è più facile diffidare di chi ci ha fatto del bene, piuttosto che ricambiarlo consapevolmente. Il terzo servo si rivelerà “buono a nulla” (inutile, fannullone, v. 30), perché non ha fatto il male, ma peggio, non ha fatto niente, scegliendo la mediocrità. La parabola esorta a non restare immobili, ad essere intraprendenti accettando il rischio di poter anche sbagliare per generare nuovi frutti. Dio gradisce il coraggio di chi si impegna senza scuse. La fede nel Signore e la Sua Parola ci motiveranno al servizio, poiché l’incapacità e l’inutilità sono in contraddizione con l’opera della Grazia in noi.


 

Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 11

11 marzo Deuteronomio 16-18; Marco 13:1-20

12 marzo Deuteronomio 19-21; Marco 13:21-37

13 marzo Deuteronomio 22-24; Marco 14:1-26

14 marzo Deuteronomio 25-27; Marco 14:27-53

15 marzo Deuteronomio 28-29; Marco 14:54-72

16 marzo Deuteronomio 30-31; Marco 15:1-25

17 marzo Deuteronomio 32-34; Marco 15:26-47

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