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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Vivere o morire per il Signore

Nessuno di noi infatti vive per se stesso, e neppure muore per se stesso, perché, se pure viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore; dunque sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore.

Romani 14:7-8


 

Se ti stai chiedendo per chi o per cosa vale la pena continuare a vivere e/o finanche morire, probabilmente il testo biblico odierno può venire in soccorso, in quanto proprio i due verbi «vivere» e «morire» indicano la globalità dell’esistenza umana. Ci sentiamo smarriti nell’ora del lutto, ma saremo sopraffatti soltanto se la nostra vita non è in Cristo. Il credente, infatti, non può vivere una vita orientata esclusivamente alla ricerca del proprio interesse e della propria soddisfazione personale, ponendo se stesso dinanzi a tutto e tutti. Arriveremo comunque al capolinea. Per questo la morte, ultimo baluardo dell’esistenza umana, con il suo ingente carico di ansie e paure, non può essere gestita come un evento che riguarda soltanto l’individuo. L’apostolo Paolo scrive alla comunità di Roma in merito a una contrapposizione interna, tra i credenti deboli e quelli forti. La divisione in due gruppi che sostenevano posizioni diverse era una caratteristica della comunità. I deboli erano quelli osservanti, ligi ai digiuni e alle festività e si rifiutavano di mangiare carne, forse temendo fosse carne sacrificata a divinità pagane come a Corinto.  Mentre i forti, che avevano compreso la libertà data dalla croce di Cristo, mangiavano qualsiasi cosa e consideravano tutti i giorni uguali.

 

L’apostolo, senza schierarsi con uno a discapito dell’altro, raccomanda entrambi i gruppi di rimanere fermi nelle proprie convinzioni, cercando però di essere accoglienti e comprensivi gli uni nei confronti degli altri. Ricorda loro che essi sono di Gesù Cristo, sia nella vita sia nella morte. Questa appartenenza è in forza della sua morte e risurrezione che lo ha costituito Signore dei morti e dei vivi (v. 9). Ecco il nocciolo, che rende sì ammissibili diversi modi di operare, ma che dà stabilità ad entrambi. Piuttosto che sostenere la propria posizione, è opportuno chiedersi a chi apparteniamo e verificare se tale eventuale appartenenza avvolge tutta la nostra vita. Altrimenti si corre il rischio di essere avvolti in norme legalistiche e basta. In tal caso nessuno di noi vive per se stesso, e neppure muore per se stesso. Dobbiamo comprendere che la nostra vita è collegata ad altre vite dall’inizio fino alla fine. Come ha detto qualcuno “nessun uomo è un’isola”. Nel viaggio dell’esistenza siamo in un certo senso orientati, sapendo perché e per chi viviamo e moriamo. Potremmo dire di avere il navigatore integrato fino al momento conclusivo della morte, che da nemico ultimo assume il suo pieno significato se vissuta «per il Signore». Lui non solo è la nostra meta ma pure la nostra via, la nostra guida. É la nostra fame e il nostro cibo, la nostra sete e la nostra acqua. Egli è la vita, la nostra.

 

Una vita radicata in Lui ha un orientamento tale da resistere alla sbandate, alle buche, agli errori di percorso. Come con i moderni navigatori in auto, con Lui è sempre possibile ricalcolare il tragitto. Dimorando in Lui non ci perderemo mai, neanche dinanzi al morire saremo smarriti. Abbiamo bisogno di sollevare il nostro sguardo dal pavimento dove troppe volte si inchiodano, portandoci a concentrarci solo su noi stessi e di conseguenza condannandoci al disorientamento. Non andrai lontano se continuerai a guardare a terra o verso il tuo ombelico. Quando riusciamo ad alzare gli occhi scopriamo una nuova navigazione. Viviamo l’esperienza notturna di Nicodemo al cospetto del Signore, che scopre la possibilità di una nuova nascita e di una nuova vita. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. La nostra esistenza è parte di un disegno, fuori dall’umana comprensione. Dal principio alla fine, il Creatore vuole che le nostre vite siano dedicate a Lui. Dunque, qualsiasi cosa facciamo, la facciamo per il Signore Gesù, che signoreggia sui morti e sui vivi. Nell’ebraismo si insegna a considerare tre cose: sapere da dove veniamo, dove andiamo e davanti a chi un giorno dovremo rendere conto. Può sembrare poco, ma contiene il tutto.

 


 

Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 36

02 settembre   Salmi 140-142; 1Corinti 14:1-20

03 settembre   Salmi 143-145; 1Corinti 14:21-40

04 settembre   Salmi 146-147; 1Corinti 15:1-28

05 settembre   Salmi 148-150; 1Corinti 15:29-58

06 settembre   Proverbi 1-2; 1Corinti 16

07 settembre   Proverbi 3-5; 2Corinti 1

08 settembre   Proverbi 6-7; 2Corinti 2

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