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Cambiare modo di pensare

  • Immagine del redattore: Elpidio Pezzella
    Elpidio Pezzella
  • 6 lug
  • Tempo di lettura: 3 min

«Poiché i miei pensieri non sono i vostri pensieri né le vostre vie sono le mie vie», dice l’Eterno.

Isaia 55:8


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Gerusalemme è assalita e invasa da Nabucodonosor II nel 587 a.C., il tempio distrutto e gli ebrei deportati in Babilonia. All’editto di Ciro, dopo settant’anni, alcuni fanno rientro in patria, mentre altri decidono di restare nella diaspora. Tornare a Gerusalemme voleva dire riedificare le mura e il tempio della città, ma soprattutto ricostruire l’identità del popolo. La comunità giudaica risorge sotto l’ombrello di sacerdoti e scribi, la cui opera diventa una miscela di nazionalismo e religione. Ecco allora che ai tempi di Esdra e Neemia, per recuperare l’identità di popolo puro secondo la legge mosaica, si vietò ogni contatto con le popolazioni straniere, comandando a chi aveva sposato una donna forestiera di mandarla via (Esdra 9-10, Neemia 9). Le donne cacciate però erano le madri dei bambini che rimanevano lì e ai quali era sottratto l’affetto materno. Dio che è interessato soprattutto a chi non sa distinguere la destra dalla sinistra, come poteva disinteressarsi di costoro e trascurare anche i loro figli? Arriviamo al libro di Giona, redatto probabilmente in questo periodo, che può essere diviso in due sezioni: nella prima il profeta non risponde positivamente alla chiamata, come farà nella seconda. È troppo condizionato dal risentimento nei confronti dei niniviti e sceglie una direzione opposta (Tarsis o Tarshish). Infatti, si nasconde in una nave insieme con una ciurma di pagani, i quali attraverso varie vicissitudini si troveranno a credere in Dio.

 

Rigettando i niniviti, la salvezza raggiunge l’equipaggio della nave nel pieno di una tempesta. Difatti quegli uomini riconoscono che l’Iddio d’Israele è il vero Dio. Lui è gettato in mare e ingoiato da un grosso pesce. Solo dopo aver pregato, sarà vomitato dall’animale e rivedrà la luce. Nella seconda sezione Giona entra nella città di Ninive. Un simbolismo parallelo accomuna le due storie. La nave e la città stanno a rappresentare l’umanità cui è rivolta una voce di speranza, che può divenire anche di condanna se rigettata. La predicazione di Giona si limita ad annunciare sventura, non chiede ai niniviti di ravvedersi o di raddrizzare i loro sentieri. Il suo messaggio è tanto breve quanto efficace: induce alla conversione e a un cambiamento totale della condizione spirituale, morale e materiale. Cambiamento totale. Non occorrono tante parole, ma quel che dichiariamo possa produrre una reazione, proprio come nell’annuncio di Giona. I niniviti credono e reagiscono alle parole e proclamano un digiuno. Sono rimasti talmente toccati e colpiti nelle loro coscienze da estendere il processo di conversione agli animali, ricoprendoli di sacco e cenere, cosa mai accaduta in Israele. Se pur si volesse obiettare che quanto raccontato nel libro sia favola e non un fatto realmente accaduto è poco importante, poiché tutta la storia resterebbe comunque paradigmatica della nostra vita. In essa si susseguono prima la conversione dei niniviti, poi quella di Dio, il quale decide di non distruggerli così come aveva dichiarato.

 

Le due conversioni conducono a considerare che sia Giona (e noi con lui) a doversi convertire e cambiare modo di pensare. Infatti, il profeta reputava che la misericordia di Dio non potesse (ma anche che non dovesse) raggiungere i niniviti. Era pienamente conscio del Suo possibile cambiamento, mentre chi non poteva o voleva cambiare idea era lui. Un’azione pedagogica innesca nel profeta un processo di cambiamento che ha come epilogo una serie di eventi strani. Dio è l’unico a restare sempre credibile nonostante quel che pensa il profeta a suo riguardo. Giona è come un lungodegente affetto da una malattia mortale scatenata dal rancore provato contro gli assiri e i pagani in generale e da un astio nei confronti di Dio. Il Signore però se ne sta seduto al suo capezzale, e con una serie di strumenti “terapeutici” lentamente lo libererà dai suoi mali, fino a farne strumento di redenzione per altri. Colui che inizialmente non ha avuto il coraggio di denunciare diventa la voce del cambiamento e della conversione dei niniviti. La mano invisibile di Dio l’ha reso abile alla missione e in grado di scuotere una grande città del suo tempo. Sono convinto che la sua figura possa essere uno sprone a una generazione sfidata a sfidare, chiamata a cambiare per cambiare, al rinnovamento per rinnovare, all’ascolto della voce di Dio per parlare con potenza nel Suo nome. I nostri pensieri non sono i Suoi.



Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 28

07 luglio Giobbe 34-35; Atti 15:1-21

08 luglio Giobbe 36-37; Atti 15:22-41

09 luglio Giobbe 38-40; Atti 16:1-21

10 luglio Giobbe 41-42; Atti 16:22-40

11 luglio Salmi 1-3; Atti 17:1-15

12 luglio Salmi 4-6; Atti 17:16-34

13 luglio Salmi 7-9; Atti 18

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IL MIO IMPEGNO

Per rispondere all’aspirazione e al desiderio di tanti onesti credenti di trafficare i talenti ricevuti, mi sono impegnato a formare uomini e donne fedeli per “un servizio che serve”, seguendo l’invito di Gesù (Mt 20:26-27). Il materiale proposto vuole offrire occasioni di formazione e crescita personale non da paventare ad altri, ma una condivisione per crescere assieme, lontani da polemiche, accuse e ogni forma di giudizio volto a alimentare dissidi e contese inutili. Io ci provo! 

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