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Riprendere la corsa

  • Immagine del redattore: Elpidio Pezzella
    Elpidio Pezzella
  • 2 ore fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Se uno cade non si rialza forse? Se uno si svia, non torna egli indietro? ... Ognuno riprende la sua corsa, come il cavallo che si slancia alla battaglia.

Geremia 8:4, 7


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Queste parole del profeta Geremia sono parte di una sezione poetica con alcune acute immagini. Attraverso la poesia descrive il rifiuto di un popolo e di una città ad essere fedele al proprio Dio, e per questo in cammino verso la morte. Nessuna persona consapevole della propria condizione si lascerebbe andare. Chiunque cade cerca di rialzarsi se ne ha le forze, altrimenti spera nell’aiuto di qualcuno. Allo stesso modo chi si accorge di aver sbagliato strada non si ostina a continuare, ma comprende che è opportuno tornare indietro. Sono proprio queste le domande che pone il testo del verso 4: “Se uno cade non si rialza forse? Se uno si svia, non torna egli indietro?”. In realtà non racchiudono la nostra speranza o i nostri dubbi, ma sono la triste constatazione di Dio all’atteggiamento folle di questo popolo. A dispetto degli animali che sanno riconoscere le stagioni per migrare e il tempo per tornare (v. 7), la gente del tempo di Geremia non compie alcuno sforzo per correggere la propria condotta. Anzi, vivono come i cavalli lanciati alla battaglia. Nessun cavallo lo farebbe, se non avesse i paraocchi e se non fosse cavalcato da qualcuno. Lutero paragonava l’essere umano a un cavallo, sempre cavalcato da qualcuno, o dal diavolo o da Dio. Secondo lui, l’uomo non è in grado di vivere come se fosse al supermercato, di scegliere, guardare e giudicare liberamente. Ma appunto è sempre cavalcato e, quindi, sarebbe condizionato da qualcuno nel bene e nel male.

 

Dovremmo di tanto in tanto chiederci chi ci sta cavalcando: un’ideologia, un desiderio, un’ambizione o soltanto la preoccupazione del nostro tempo? Quale corsa stiamo correndo? Forse sei uno dei molti dominati dalla paura, lanciati su una strada senza meta, il cui fine resta una immensa nebulosa. Su questo campo di battaglia inevitabilmente abbondano la paura di vivere e la diffidenza verso l’Autore della vita. Nel testo in esame, ciò determina l’autodistruzione di un popolo, incapace di cambiare. Infatti, nonostante questa prospettiva, la grande colpa dell’uomo è che si può convertire (rialzarsi, tornare indietro) in ogni momento, ma non lo fa. Sarebbe semplice come gli uccelli seguono i loro istinti, ma non lo fa. Nelle parole del giovane profeta è intriso tutto il pathos di Dio, le cui parole sono quelle di Geremia. Il no di Geremia è un no che costa, al punto di rischiare anche la vita. Perché cade? Perché si svia? Sono le domande di un cuore profondamente ferito. Potrebbe apparire eccessivo, ma Dio soffre. E soffre perché ama. Dio ama e perciò soffre, perché non li può fermare a motivo della libertà che gli ha dato. Purtroppo il patto della Legge, espressione di un legame interiore, è diventato formale: lettera morta, riti religiosi. Ecco quel che molti sono diventati: cavalli con i paraocchi, con le orecchie tappate, senza più sensibilità e che vivono nell’illusione delirante di essere più bravi degli altri. In questo modo perdiamo di vista le cose che contano, forse lasciamo i sentieri antichi, e passiamo dall’altra parte se incrociamo qualcuno che ha bisogno di noi.

 

Ognuno riprende la sua corsa, come il cavallo che si slancia alla battaglia”, è la terribile verità che si sta andando contro la coscienza, contro Dio. L’ostinazione prodotta dalla convinzione di essere nel giusto. Ricordi Saul con il profeta Samuele dopo aver parzialmente obbedito all’ordine di sterminare gli Amaleciti? Forse siamo diventati apatici nella frenetica ricerca di sensazioni, e non ce ne siamo accorti. La presunzione delle nostre decisioni tura gli orecchi alla voce dolce e sommessa che vuole indirizzarci al bene. Se è questa la nostra condizione non possiamo restare indifferenti. Geremia non voleva parlare, ma non ha potuto restare in silenzio: un fuoco ardeva nelle sue ossa (20:7-9). La sua sofferenza era la sofferenza del Dio in cui credeva e che serviva. Guardo a lui, e per questo voglio liberarmi di ogni oppressione e di tutto quello che non mi consente di vedere chiaramente. Voglio come il profeta sentire la sofferenza di Dio. Come fare? Volgere gli occhi a me stesso e tornare a domandarmi in preghiera al termine della giornata: “Cosa ho fatto?”. Basta guardare all’altro. Sono io il soggetto delle mie preoccupazioni, e non costui o costei che neanche conosco bene. Un vecchio inno recitava: “Sono io, sono io, Signor che ho bisogno di pregare”. Voglio trovare il coraggio di rialzarmi, se sono caduto, e di ritrovare la via di Dio se da essa mi sono allontanato.



Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 47

17 novembre  Ezechiele 5-7; Ebrei 12

18 novembre  Ezechiele 8-10; Ebrei 13

19 novembre  Ezechiele 11-13; Giacomo 1

20 novembre  Ezechiele 14-15; Giacomo 2

21 novembre  Ezechiele 16-17; Giacomo 3

22 novembre  Ezechiele 18-19; Giacomo 4

23 novembre  Ezechiele 20-21; Giacomo 5

 

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Per rispondere all’aspirazione e al desiderio di tanti onesti credenti di trafficare i talenti ricevuti, mi sono impegnato a formare uomini e donne fedeli per “un servizio che serve”, seguendo l’invito di Gesù (Mt 20:26-27). Il materiale proposto vuole offrire occasioni di formazione e crescita personale non da paventare ad altri, ma una condivisione per crescere assieme, lontani da polemiche, accuse e ogni forma di giudizio volto a alimentare dissidi e contese inutili. Io ci provo! 

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