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  • Writer's pictureElpidio Pezzella

Cisterne rotte

Poiché il mio popolo ha commesso due mali: ha abbandonato me, la sorgente di acqua viva, per scavarsi cisterne, cisterne rotte, che non tengono l’acqua.

Geremia 2:13

Quella alle spalle doveva essere stata una stagione particolarmente secca, e le cisterne che custodivano le riserve idriche erano ormai asciutte o al massimo contenevano melma, come quella nel palazzo del principe Malkiah in cui verrà calato Geremia successivamente (38:6). Il profeta si affida a questa immagine per rappresentare la condizione spirituale del popolo in generale, e che riguardava tutti: “I nobili fra loro mandano i loro giovani a cercare acqua; essi vanno alle cisterne, ma non trovano acqua e ritornano con i loro vasi vuoti” (14:3). Geremia conduce i suoi ascoltatori davanti alle tante cisterne allora in funzione nel paese: scavate e con le pareti impermeabilizzate con l’intonaco, oppure ricavate in cavità naturali che, con le loro pareti calcaree, erano una sorta di grande anfora naturale.


Il dramma della siccità è spiegato non con la mancanza di pioggia, ma con il fatto che queste sono crepate e, quindi, incapaci di conservare l’acqua piovana. Il primo e grave errore commesso dal popolo è aver abbandonato la fede nel vero Dio, «sorgente di vita» (Salmi 36:10), fonte di acqua viva continua, dove poter attingere all’occorrenza. L’allontanamento dal Signore è seguito dal tentativo di crearsi delle risorse idriche autonomamente. Assistiamo appunto a questo confronto tra la fonte divina d’acqua viva e una cisterna con crepe che trattiene solo umidità e fango. Triste e amara conclusione è dover constatare che ancora oggi l’umanità ama la melma rispetto all’acqua fresca. Siamo di fronte a una scelta sconsiderata, quasi folle, ma è quella che molti spiritualmente continuano a compiere ogni giorno. Il lavoro di costruzione delle cisterne è di per sé la negazione della provvidenza quotidiana, simile al trattenere oltre il necessario la manna nel deserto o come l’innalzamento della torre di Babele.


L’amore di un tempo è lentamente venuto meno: “Io mi ricordo di te, della tenera attenzione della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata” (v. 2). La fede in Dio ha la sua irrazionalità, esce dallo steccato della logicità umana, che riterrebbe un’oculata scelta quella di provvedersi delle cisterne per far fronte alla siccità, anche perché in Israele non pioveva per lunghi periodi. Agli occhi di Dio questo è un atto di tradimento nei Suoi confronti. Lo scopo di una cisterna è raccogliere e conservare l’acqua. Il livello è destinato ad abbassarsi già solo per l’evaporazione naturale se non viene costantemente versata altra acqua. Il dramma denunciato però da Geremia è che le cisterne costruite sono crepate. Di certo non si tratta di un atto di condanna contro le opere idriche. Nella nostra realtà, tutto ciò che ci forniva un minimo di sicurezza si è sgretolato negli ultimi anni. Milioni di cisterne sono crepate prima sotto una siccità finanziaria e poi di salute. In queste condizioni ogni tentativo di sopravvivenza è inutile. Si rivelerà presto tragica l’illusione di possedere acqua per soddisfare ogni tipo di sete della nostra anima. Il popolo piuttosto che tornare e invocare il suo Dio, prende la strada dell’Egitto “per andare a bere le acque di Scihor” (v. 18) o di altri fiumi.


Le parole del profeta ci invitano ad abbandonare una religiosità stantia, apparentemente solida e capiente, ma praticamente piena di crepe e tragicamente melmosa, se non addirittura arida e asciutta. A questa ci esorta a preferire una fede fresca e viva, in quanto animata dallo Spirito. Cosa stiamo costruendo? Dove stiamo custodendo la nostra spiritualità, in cattedrali, opera d’uomo o nel tempio dello Spirito? Ho timore, e spero di sbagliarmi, che stiamo dando maggior importanza a contenitori esterni piuttosto che all’anima nostra. Etty (Ester) Hillesum (ebrea olandese uccisa ad Auschwitz a soli 29 anni) scriveva nel suo diario: “Dentro di me c’è una sorgente molto profonda. E in quella sorgente c’è Dio”. Anche se lontani da ogni ipotetico campo di concentramento, ma nel bel mezzo di un deserto esistenziale dovremmo come Etty riconoscere che Dio è in ciascuno di noi come una sorgente molto profonda, nascosta agli sguardi esterni. Purtroppo su quella fonte, per ragioni varie, deponiamo cumuli di pietrisco e sabbia, e l’acqua fa fatica a scorrere, compressa sotto dubbi, ansie, paure e tormenti vari che progressivamente affievoliscono lo spirito.


Caro/a amico/a, siano queste parole capaci di trasportarti nei pressi della città di Sicar in Samaria, dove Gesù, seduto sul parapetto del pozzo di Giacobbe, e come alla donna venuta ad attingere acqua, rivolge a te queste parole: «Chiunque beve di quest’acqua, avrà ancora sete, ma chi beve dell’acqua che io gli darò non avrà mai più sete in eterno; ma l’acqua che io gli darò diventerà in lui una fonte d’acqua che zampilla in vita eterna» (Giovanni 4:13-14).



 

Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 05

24 gennaio Esodo 9-11; Matteo 15:21-39

25 gennaio Esodo 12-13; Matteo 16

26 gennaio Esodo 14-15; Matteo 17

27 gennaio Esodo 16-18; Matteo 18:1-20

28 gennaio Esodo 19-20; Matteo 18:21-35

29 gennaio Esodo 21-22; Matteo 19

30 gennaio Esodo 23-24; Matteo 20:1-16



foto di gun4hire, www.freeimages.com

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