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Immagine del redattoreElpidio Pezzella

Un soffio e un’ombra

Aggiornamento: 14 dic 2020

Sì, l’uomo va attorno come un'ombra; sì, invano si affaticano tutti e accumulano beni senza sapere chi li raccoglierà!

Salmi 39

Sono certo che ciascuno avrà avuto modo di riflettere sull’effimera esistenza umana, niente più di un rapido passaggio nella storia dell’umanità, nonostante l’impegno e il desiderio di renderla il più duratura possibile. L’orante del Salmo 39 si dibatte intensamente nel dramma di cercare una risposta, senza escludere l’analisi del proprio mondo interiore, al presente ferito e colpito nell’intimo: “Sono rimasto muto e calmo, mi sono addirittura trattenuto dal bene, e il mio dolore si è inasprito. Il mio cuore ardeva dentro di me; mentre meditavo, un fuoco si è acceso” (vv. 2 e 3). La prima esperienza che ci comunica è quella del silenzio insopportabile. Ha scelto di porre un freno alla lingua, e quindi di restare volutamente in silenzio, al fine di vegliare sulla propria condotta e quindi per evitare di commettere errore. Di fronte a lui vi è l’empio, che non è tanto il malvagio quanto la persona che nega Dio sul piano pratico. Possiamo supporre che il nostro orante si trovi in una condizione di grande sofferenza personale, tale da fargli avvertire la tentazione di comportarsi come l’empio, ossia di mettersi dalla sua parte e dargli ragione (Salmi 73:15), dato che non trova spiegazione alle tragedie quotidiane. Davanti al rischio di parlare come chi non ha fede, sceglie però la via del silenzio. Almeno ci prova, e noi da lui dovremmo imparare a fare altrettanto, perché quando tutto va a rotoli e le sofferenze ci assalgono è molto più facile parlare come chi non ha fede, piuttosto che perseverare a credere fiduciosamente nel sapiente agire divino. Inoltre, disciplinare la propria lingua è atto di coraggio.


Nonostante il silenzio imposto, l’orante si accorge presto dell’inefficacia della sua scelta. Infatti, “il mio dolore si è inasprito” (v. 3a). La situazione dolorosa che sta vivendo non muta, ma permane e questo lo inasprisce interiormente. A questo punto è inutile tacere. Non si può ignorare quel che sta accadendo, e il tormento generato ridesta in lui gli interrogativi esistenziali. Allo sforzo di frenare lingua e turare la bocca, fa da riflesso un fuoco interiore che divampa, alimentando la tensione interiore fino a scoppiare: “allora ho parlato con la mia lingua” (v. 3b). Non assistiamo però a uno sfogo sconsiderato. Parte invece un dialogo moderato e ragionevole con Colui che conosce i nostri giorni. Vi è la piena consapevolezza che dannarsi per accumulare farà del bene a chi viene dopo, mentre i giorni sfuggono. Nel confronto con Colui che abita l’eternità la durata della nostra vita è lunga quanto un palmo della mano, nel suo stato migliore è come vapore. L’essere umano è soltanto un’ombra deambulante, che a secondo della luce si allunga o accorcia, fino a sparire improvvisamente. Ciò che più preoccupa l’orante non è la fragilità della vita, ma la condizione peccaminosa, percepita come una causa della sua condizione: “Liberami da tutte le mie colpe; non farmi essere l’oggetto di scherno dello stolto” (v. 8). Se la sua speranza è riposta in Dio, si rende presto conto che tutto è inutile. Non serve protestare e fare rimostranze di fronte a Dio. A differenza di Giobbe, disposto a disputare, egli si rassegna ed è disposto ad andare incontro alla morte come un forestiero e un pellegrino. Chiede solo a Dio che distolga il suo sguardo, quasi a chiedere un momento di tregua nel doloroso cammino della vita.


Questo testo non offre risposte ai grandi enigmi della vita, anzi ci lascia perplessi. In realtà è la fotografia di tanti che stanno facendo i conti con una dolorosa realtà, lottando tra dolore e speranza, silenzio e parola. Si staglia da un cuore abbattuto e rassegnato una fede capace di accogliere e accettare la vita nella sua totalità, con le sue sfumature sconvolgenti e laceranti. È forse questa la lezione che il Salmo ci chiede di imparare: piuttosto che allungare la durata, trovare il modo di lasciare (o cogliere) un segno. Quindi piuttosto che un’ombra, diventare un’impronta. Che Dio ci aiuti!



Un consiglio di lettura:

Quando tutto tace di Silvio Josè Bàez



Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 51

14 dicembre Amos 1-3; Apocalisse 6

15 dicembre Amos 4-6; Apocalisse 7

16 dicembre Amos 7-9; Apocalisse 8

17 dicembre Abdia; Apocalisse 9

18 dicembre Giona; Apocalisse 10

19 dicembre Michea 1-3; Apocalisse 11

20 dicembre Michea 4-5; Apocalisse 12



 

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Foto di Philippe Ramakers, www.freeimages.com

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