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  • Writer's pictureElpidio Pezzella

Ravvedetevi e credete all’evangelo

Gesù venne in Galilea predicando l’evangelo del regno di Dio, e dicendo: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Ravvedetevi e credete all’evangelo».

Marco 1:14-15

Le prime parole della predicazione di Gesù sono una sintesi del suo insegnamento contenuto nel Vangelo. La successione dei verbi “ravvedersi” e “credere” la dice lunga su quello che invece ascoltiamo o noi stesso predichiamo. Non puoi prima credere e poi cambiare direzione. Senza prendere coscienza della propria condizione e la volontà di cambiare sarà alquanto complicato giungere a credere. Siamo di fronte a una Parola che scuote e invita a rifletterci, anche perché tendenzialmente la indirizziamo e attribuiamo a coloro che non sono ancora nel numero dei seguaci di Gesù. Manifestiamo in questo modo tutta l’arroganza di sottrarci dalla luce della Scrittura che mostra tutte le nostre ombre e di elevarci orgogliosamente a giudicare altri. Invece dovremmo specchiarci in ogni espressione biblica per valutare il nostro stato di salute spirituale.


Il cristianesimo che impersoniamo langue di fronte a questi imperativi, vestito rigidamente degli abiti ecclesiali che via via nel corso dei secoli hanno perso il buon odore di Cristo e soprattutto la polvere raccolta stando per le strade. Si sono progressivamente abbandonate vie e piazze, preferendo stanze in palazzi dorati. Parimente l’annuncio profetico del Vangelo si è ridotto a un’offerta di contenuti da parte della comunità a cui il credente può aderire, a uno stile di vita cucito di norme e divieti vari, dai quali sarà impossibile uscire indenni. Basti ricordare che la prima citazione della parola “chiesa” nel libro degli Atti è associata alla tragica storia di Anania e Saffira, quasi a rivelarci tutta la nostra incapacità di incarnare il pieno vangelo, così come i primi credenti lo stavano intendendo.


Di fronte ai tratti a tinte fosche della chiesa odierna, costretta a fare i conti con una crisi di numeri da una pandemia sferzante e svilente, appare evidente come nel tempo stia sempre più diventando una religione da praticare, una memoria culturale, un’istituzione in cui identificarsi: tutto è questo è il corrispettivo del raffreddamento della carità annunciato da Gesù stesso (Matteo 24:12). Forse la secolarizzazione di cui tanto si parlava un ventennio fa, sta ora passando alle casse per riscuotere dazio, inducendo alcuni a proclamare e invitare tale chiesa a “tornare all’evangelo”. Calandomi nel ristretto gruppo dei primi discepoli, apostrofati come “uomini di poca fede” e “incapaci di comprendere” le parole del Maestro, mi sono interrogato se anch’io dovessi ora più che mai tornare, e tornare dove e a fare cosa.


L’espressione “tornare al vangelo” risuona come il motto di ritornare alle fonti degli umanisti, rimanda ad uno dei gridi di battaglia di Lutero “sola Scriptura” e quindi lascia supporre che ci sia stata una deviazione dai sentieri antichi, all’aver deposta la Parola per altro. Faccio fatica a ritenere che sia questo, perché almeno personalmente e negli ambienti da me frequentati la Scrittura resta al centro della spiritualità personale ed ecclesiale: piani di lettura quotidiani, meditazioni, predicazioni, seminari e corsi biblici si rincorrono. Volendo essere più scrupolosi, potrebbe essere più facile dover ammettere che in qualche circostanza alcuni contenuti possono essere stati annacquati, che la sostanza sia stata frammentata per rispondere ad esigenze temporali sempre più stringenti e alla richiesta di un uditorio velocemente pago di pane solido e più propenso al latte della Parola. Cos’è allora che non funziona? Ho trovato illuminante in una recente lettura questa risposta: “La Chiesa nasce come cooperativa di affamati e assetati. Se non c’è questo, tutto ammuffisce”.


Allora “tornare all’evangelo” non sarà un semplice rimpatrio nella terra delle Scritture, di cui ognuno rivendica l’appartenenza. Il tornare è molto più di un prendere le distanze dalla situazione attuale, il cercare di rivivere i bei tempi passati. Nell’Antico Testamento il verbo “tornare” è il più utilizzato nel lessico del pentimento e del cambiamento di vita. Indica un mutamento direzionale, un’inversione del senso di marcia. Nel Nuovo Testamento il termine aggiunge un cambio di mentalità che rende possibile un cambiamento di direzione. Oso dire che sia necessaria una conversione. La Parola deve essere predicata in maniera tale da indurre un mutamento, perché come dichiarava Gesù: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino”. Protendendomi a quello che mi sta innanzi non posso cullarmi dei bei tempi passati, devo proseguire il palio dell’eterna vocazione (Filippesi 3:13-14). E non volendo in alcun modo restare indietro, scopro quanto sia urgentemente necessario che io rinnovi il dono di Dio che è in me (2Timoteo 1:6).



 

Piano di lettura settimanale

della Bibbia n. 04

17 gennaio Genesi 41-42; Matteo 12:1-23

18 gennaio Genesi 43-45; Matteo 12:24-50

19 gennaio Genesi 46-48; Matteo 13:1-30

20 gennaio Genesi 49-50; Matteo 13:31-58

21 gennaio Esodo 1-3; Matteo 14:1-21

22 gennaio Esodo 4-6; Matteo 14:22-36

23 gennaio Esodo 7-8; Matteo 15:1-20

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